mercoledì 5 giugno 2013

Roma antropofaga



La fortuna degli apolidi metropolitani senza radici avendone ovunque consiste nel fatto che riescono solitamente a saltare da una città all’altra senza troppe difficoltà. L’eventuale nuova lingua, i nuovi posti alti o bassi, grandi o piccoli non rappresentano quasi mai un problema. Il vero problema sono gli autoctoni. I mangiatori di uomini. A prescindere dalla latitudine e dalla longitudine. I mangiatori di uomini vivono ovunque, in qualsiasi metropoli. A volte vivono anche nei villaggi. Il cannibalismo – in questo caso – è a misura d’uomo.

“La bellezza del luogo in cui vivi è inversamente proporzionale alla velocità in cui ti ci imbruttisci. Vivendoci.” Non è un detto popolare. E’ il risultato di una constatazione. Non mia. Dopo aver visto un film. Al cinema. Poco tempo fa.

Passata la fase degli orsacchiotti, dei cd anti autovelox e degli arbre(s) magique(s) attaccati allo specchietto della macchina – e anni dopo aver imparato a guidare veramente una macchina – ti trovi davanti ad un un bivio: deve essere un mezzo, il mezzo che mi porta dal punto A al punto B nel minore tempo possibile e con tutte le comodità del caso? Decisamente si. Ma non è solo una questione di tempo. E neanche di comodità. E a dire il vero neanche di arbre(s) magique(s). Quelli li attacco ancora. L’altra via del bivio è una strada piena di curve, non una strada rettilinea. Non l’autostrada. Che monotonia. E’ più veloce si certo. Ma si va sempre dritto. E poi ti addormenti al volante se non bevi molti caffé. Non ci sono le curve.

Sono tante le metropoli del mondo e tanto è il mondo. Troppo. I nostri occhi sono piccoli. Troppo piccoli per vedere quanto tanto è il mondo. Non basta una vita. Troppo poca. Ma se vai in autostrada non vedi e non vivi mai le curve: i paesaggi nascosti che si aprono davanti a te – dopo ogni curva – rimangono persi. Nascosti. Non visti. Perdi guadagnando tempo.

“E’ anche un film sullo stridore totale che esiste tra la bellezza di Roma e la bruttezza delle persone che la abitano. Non perché sono brutte di natura. Ma perché Roma le ha inbruttite.”

Potrebbe forse essere un inno al romanzo sul niente! Il titolo del romanzo del protagonista – l’Apparato Umano – è come si suol dire la chiave e il riflesso del messaggio. E’ un film sul niente e sulla bellezza di Roma che vuole riempire quel vuoto. Ma solo in superficie. La sostanza dimostra invece che la bellezza è prima di tutto fatta di uomini e dagli uomini. E’ umana. Anche perché è l’uomo che decide ciò che è bello, dato che gli piace. Ma se la bellezza è umana allora è anche decadente. Prima o poi svanisce. Rimangono gli angoli nascosti dietro ogni curva di Roma. A piedi. Senza macchina. Pedalando in bicicletta o navigando sul Tevere..

Il corpo che si riempe e si vuota. L’Apparato Umano. Pennac ultimamente è in fissa con l’apparato, con il corpo umano inteso come contenitore di tutta la nostra storia. Hillman era in fissa con le emozioni che hanno una memoria nello stomaco. Ah lo stomaco, il secondo cervello.. Ho visto poche farfalle in quel film.

Saltare da una città all’altra per un apolide metropolitano senza radici avendone ovunque è come prendere la macchina e decidere di intraprendere una strada piena di curve. Ancora una volta. Altro bivio. Poca monotonia. Ma non è solo una questione di tempo.

Le curve saranno sempre di una certa.. grande bellezza!


patosoftineto

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